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HOME PAGE > LIBRI-FILM-MUSICA > DA LEGGERE ONLINE > IL PAESE DEI CIECHI 06
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Storie di fantasia
e di fantascienza

di Herbert G. Wells

Un giorno si accostò a lei che stava seduta nel chiar di luna estivo, intenta a filare. Quel chiarore la rendeva argentea, misteriosa.

Egli sedette ai suoi piedi e le disse che l'amava,le disse quanto la trovava bella. Aveva la voce dell'innamorato, parlava con tenero rispetto, quasi con devota reverenza, ed ella non era mai stata sfiorata, prima di allora, dall'adorazione.

Non gli diede una risposta precisa, ma era chiaro che le sue parole le erano piaciute. Da allora, approfittò di ogni occasione per parlarle. La valle divenne, per lui, il mondo; e il mondo di là dai monti, ove gli uomini vivono alla luce del sole, fini per sembrargli una fiaba, che un giorno o l'altro avrebbe sussurrato all'orecchio di lei.

Con grande cautela, molto timidamente, le parlò della vista. A lei, quell'invenzione della vista, parve un'invenzione poeticissima, e stette ad ascoltare la descrizione delle stelle, dei monti, della sua stessa dolce bellezza rischiarata dalla luna, come cedendo ad una colpevole debolezza. Non ci credeva, anzi capiva solo in parte; ma ne era misteriosamente deliziata, ed egli potè credere ch'ella avesse capito tutto. Il suo amore perse la trepida timidezza, si fece ardito. Egli volle chiederla in sposa, a Yacob e agli anziani; ma fu lei ad impaurirsi e a temporeggiare. Yacob venne a sapere che Medina-sarotè e Nunez erano innamorati, perchè‚ glielo disse una della figlie maggiori.

Il matrimonio di Nunez con Medina-sarotè incontrò subito fiera opposizione, non tanto per il conto che facevano di lei, quanto perchè giudicavano proprio lui un essere fatto a modo suo, un mezzo scemo, incapace, inferiore anche al più basso livello tollerabile in uomo. Le sorelle della ragazza si opposero accanitamente al matrimonio perchè‚ avrebbe gettato discredito su tutte loro; e il vecchio Yacob, benchè avesse maturato una specie di affetto per il suo tardo ed obbediente servo della gleba, scrollò il capo e disse che la cosa non era fattibile. I giovani erano tutti in colera all'idea di quell'inquinamento della razza, ed uno giunse fino ad insultare e picchiare Nunez. Egli reagì.

Fu la prima volta che il fatto di vederci, sia pure in quella semioscurità, risultò un vantaggio, e dopo la conclusione di quella zuffa, nessuno si azzardò più a mettergli le mani addosso. Ma continuarono a ritenere impossibile il suo matrimonio. Il vecchio Yacob aveva un debole per quella figlia, che era la più piccina, e quando ella andava a piangere da lui, gli dispiaceva. "Ma capisci, cara, è deficiente. Soffre di allucinazioni, non sa far nulla nel modo voluto". "Lo so", singhiozzava Medina-sarotè, "Ma adesso va meglio di prima. Migliora. Ed è forte, mio caro padre; è gentile. Più forte e più gentile di qualsiasi uomo al mondo. E mi ama, e… Padre, lo amo". Nel vederla così sconsolata, il vecchio Yacob ne fu afflitto, tanto più che, per molti motivi, aveva simpatia per Nunez. Perciò andò nella sala del consiglio priva di finestre, sedette con gli anziani, seguì la china dei discorsi e, al momento opportuno, disse: "Va meglio di prima. E' probabile che un giorno o l'altro ci accorgeremo che è sano di mente quanto noi".

In seguito, poi, uno degli anziani, gran pensatore, ebbe un'idea. Tra quella gente egli era il dottore, il loro medico. Possedeva in alto grado l'attitudine filosofica e inventiva. L'idea di guarire Nunez delle sue stranezze lo attraeva. Un giorno, presente Yacob, tornò sull'argomento Nunez. "Ho visitato Bogota", disse, "e il suo caso mi risulta più chiaro. Credo che, con ogni probabilità, lo si possa guarire". "L'ho sempre sperato", disse il vecchio Yacob. "Ha il cervello un po' disturbato", disse il medico cieco. Corse tra gli anziani un mormorio di assenso. "Ebbene, che cosa lo turba?". "Ah!", fece il vecchio Yacob. "Questo", disse il medico, rispondendosi da s è, "Queste strane cose chiamate occhi, che esistono per formare nel volto una lieve e piacevole depressione, in Bogota sono malate di modo che gli disturbano il cervello. Sono dilatate, hanno le ciglia,con palpebre che si muovono; di conseguenza il suo cervello è in uno stato costante d'irritazione e di distruzione. E allora?", disse il vecchio Yacob, "Allora?". "Io credo di poter dire con ragionevole certezza che, per guarirlo completamente non abbiamo da fare altro che una piccola operazione chirurgica, facile e semplice, cioè rimuovere questi elementi irritanti". "Poi sarà perfettamente sano di mente, e un cittadino del tutto ammirevole". "Sia ringraziato il cielo per averci dato la scienza!", disse il vecchio Yacob, e se ne andò subito da Nunez ad informarlo delle sue liete speranze.

Ma gli parve proprio, con sua sorpresa, che Nunez ricevesse la buona notizia con una freddezza molto deludente. Perciò egli disse: "Si potrebbe quasi credere, dal modo in cui parli, che di mia figlia non t'importi nulla". Fu Medina-sarotè a convincere Nunez ad affrontare i chirurghi ciechi. Egli le disse: "Non vorrai, proprio tu, ch'io perda il mio dono della vista?". Ella scosse la testa. "La vista è il mio mondo". Ella chinò ancor più la testa. "Ci sono le belle cose, piccole cose bellissime: i fiori, i licheni tra le rocce, la morbida lucentezza di una pelliccia, il cielo lontano con le nuvole che passano scivolando, i tramonti, le stelle. E ci sei tu. Solo per te è bello avere la vista, per vedere il tuo viso dolce e sereno, le tue labbra affettuose, le tue mani care e belle congiunte insieme... . Questi miei occhi che tu hai conquistato, questi occhi che mi legano a te, quegli idioti me li vogliono togliere. Dovrei invece toccarti, sentirti, e non rivederti mai più. Dovrei anch'io venire sotto il cielo di roccia, di pietra, di tenebra, quell'orribile tetto sotto il quale si curva la vostra immaginazione…. No! Non vorrai ch'io faccia una cosa simile?". Lo aveva assalito uno spiacevole dubbio. Si fermò, e lasciò l'interrogativo senza risposta. "Io vorrei", ella disse, "a volte…", e s'interruppe. "Ebbene", disse egli, un poco in ansia. "Vorrei, a volte… che tu non parlassi così". "Così, come?". "So che è grazioso. è la tua fantasia. Mi piace tanto, però…". Egli si sentì gelare. "Però?", fece fievolmente. Ella rimase muta. "Tu vuoi dire… tu credi… ch'io starei meglio, starei meglio forse…". Stava rendendosi conto molto rapidamente.

Provò ira, effettivamente; ira contro la stupidità della sorte. Ma anche un'affettuosa comprensione, per l'incapacità di lei a capire: una comprensione che era parente stretta della compassione. "Cara", le disse. E vide dal suo pallore quanto il suo spirito fosse oppresso dalle cose che non poteva dire.

Egli l'abbracciò, le baciò l'orecchio, e per un certo tempo rimasero seduti in silenzio. "E se io acconsentissi?", disse egli alla fine, con voce molto sommessa. Ella gli gettò le braccia al collo, pingendo a dirotto. "Oh, se tu lo facessi!", singhiozzava, "se tu lo facessi!".

Per tutta la settimana precedente all'operazione che dal suo stato inferiore e servile doveva elevarlo al rango di un cittadino cieco, Nunez non conobbe il sonno, e durante tutte le ore calde, rischiarate dal sole, mentre gli altri felicemente dormivano, egli se ne rimase seduto a rimuginare, o vagò senza meta, cercando di condurre la sua mente a risolvere il dilemma. Aveva dato la risposta, aveva dato il consenso; ma non era ancora sicuro. E infine la giornata lavorativa terminò, il sole sorse in tutto il suo splendore sopra le cime dorate, e per lui cominciò l'ultimo giorno dotato di vista. Trascorse alcuni minuti con Medina-sarotè prima che ella si ritirasse a dormire. "Domani", disse, "non vedrò più". "Tesoro!", disse lei, e gli strinse le mani forte forte. "Ti faranno soltanto un pochino di male", gli disse ancora, "e questo male, questa sofferenza, tu li sopporterai, mio amato, per me'''. Caro se una vita e un cuore di donna possono bastare a tanto, io ti ripagherò. Mio amatissimo, mio amato dalla tenera voce, io ti ripagherò". La compassione, per lei e per s‚ stesso, lo permeava fino al midollo. Se la tenne tra le braccia, premette le labbra sulle sue, e la guardò bene in viso per l'ultima volta. "Addio!", sussurrò a quell'amato aspetto, "Addio!". Poi, in silenzio, si volse e se ne andò.

Ella udì i passi che si allontanavano, e nel loro ritmo sentì qualcosa che la gettò in un convulso di pianto. Egli aveva avuto la ferma intenzione di recarsi in un posto solitario dove il narciso bianco abbelliva i prati, e di rimanervi fino all'ora del suo s sacrificio; ma, nell'andare, alzò gli occhi e vide il mattino simile ad un angelo dalla corazza d'oro, che scendeva fieramente sui pendii…. Gli parve che di fronte a tale splendore lui, e quel mondo cieco nella valle, ed il suo amore, e tutto, altro non fossero che un pozzo di peccato senza fondo.

Non piegò su un lato, come ne aveva avuto l'intenzione; proseguì, invece, passò attraverso il cerchio del muro, uscì fuori, su per le rocce, e i suoi occhi non si staccarono dal ghiaccio e dalla neve illuminati dal sole. Ne vedeva l'infinita bellezza, e la sua immaginazione s'innalzò fino alle cose, oltre le cime, che ora avrebbe ripudiato per sempre.

Pensò a quel mondo grande e libero dal quale era separato, un mondo che era il suo, e gli parve di vedere quegli altri pendii, quelle lontananze che seguono lontananze, e, a media distanza, Bogota, luogo di bellezze multiformi e commoventi, uno splendore di giorno, un mistero luminoso di notte, un luogo pieno di palazzi, fontane, statue, case bianche. Pensò come fosse possibile, in un giorno o due, calare attraverso i valichi, giungere più vicino alle strade affollate e affaccendate della città. Pensò al viaggio sul fiume Bogota verso il mondo ancora più vasto che stava più oltre, passando per città, villaggi, foreste e luoghi deserti; un giorno dopo l'altro sul grande fiume, finchè‚ le sponde si allontanavano e i grandi piroscafi passavano rimescolando l'acqua e si giungeva al mare, il mare confinato, con migliaia di isole e navi intraviste lontano nel loro incessante viaggiare in giro per il mondo, attorno al grande mondo. E là si vedeva, non ostacolato da montagne, il cielo, il cielo! Non un disco, come lo si vedeva qui, ma un arco incommensurabile d'azzurro, somma profondità in cui galleggiano nel loro moto ciclico le stelle….

I suoi occhi esaminavano con più acuta attenzione la grande cortina di montagne. Per esempio, ad andare così, su per quel canalone e poi per quel cammino, sarebbe stato possibile uscire, là in alto, tra quei pini che crescevano stentati intorno a una specie di sporgenza delle rocce e salivano sempre più in su accompagnandolo oltre la gola. E poi? Quella scarpata era superabile. Di là, forse, si poteva trovare una via di ascensione lungo lo strapiombo che finiva ai piedi delle nevi; e se quel cammino non rispondeva allo scopo, allora un altro, più ad est, poteva risultare migliore. E poi? Poi uno si sarebbe trovato a metà strada dalla vetta di quelle belle solitudini. Gettò un'occhiata, dietro di sè, al villaggio, poi girò completamente su s‚ stesso per guardarlo fisso. Pensò a Medina-soratè. Era divenuta piccola, remota.

Tornò a volgersi verso il muro montano, dal quale gli era sceso incontro il giorno. E, con grande cautela, cominciò ad arrampicarsi. Al tramonto, non stava più arrampicandosi, ma era lontano, e in alto. Era stato più in alto, ma era nondimeno molto in su. Aveva gli abiti laceri, le membra insanguinate; era contuso in molti punti. Ma stava steso come se stesse benissimo, e il suo volto sorrideva. Dal punto in cui si trovava, la valle pareva stare in un pozzo, oltre millecinquecento metri più in basso. La foschia già lo oscurava, benchè‚ le vette lontane intorno a lui fossero tutta luce, tutto fuoco. Le vette erano tutta luce, tutto fuoco, e i particolari delle rocce più vicine erano impregnati di bellezza: una venatura verde che tagliava il grigio, qua e là il balenio di sfaccettature cristalline, un minuscolo lichene arancione, di una minuscola bellezza, proprio accanto al suo volto.

Nella gola stavano ombre misteriose, un turchino che s'incupiva fino al violetto, un violetto che diventava tenebra luminosa; e in alto il cielo, in tutta la sua vastità sconfinata. Ma non badò più a tutto ciò; giacque, invece, del tutto inerte, sorridente, come se fosse contento per il solo fatto di essere sfuggito alla valle dei ciechi, in cui aveva pensato di diventare re.

Il bagliore del tramonto svanì, venne la notte, ed egli giaceva ancora, soddisfatto, in pace, sotto le fredde stelle.

 

 

FINE

 

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