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La
coprivano, in massima parte, lussureggianti prati verdi, costellati
in abbondanza di bei fiori, accuratamente irrigati, che mostravano
chiaramente di venire falciati appezzamento per appezzamento.
Molto in alto un muro circondava la valle come un anello, che accompagnava
tutto intorno una specie di acquedotto, da cui venivano i rivoletti
d'acqua che alimentavano la vegetazione dei prati; e più in alto
ancora, sui pendii, greggi di lama brucavano l'erba rada.
Qua e là si vedevano, addossate al muro di cinta, certe tettoie
che dovevano servire da riparo, forse da stalla, ai lama. Le acque
di irrigazione affluivano tutte a un canale principale, che scendeva
per il mezzo della valle, arginato su entrambi i lati, da un muricciolo
alto fino al petto. Tutto ciò conferiva, a quel luogo isolato, un'aria
singolarmente cittadina, aria che risultava accentuata dal fatto
che vari sentieri, pavimentati di pietre nere e bianche, tutti fiancheggiati
da un curioso cordone, come di marciapiede, si diramavano ordinatamente
nelle diverse direzioni.
Nel villaggio al centro, le case erano molto dissimili da quelle
agglomerazioni casuali, alla rinfusa, proprie ai villaggi di montagna
ch'egli conosceva; erano allineate senza interruzioni, dalle due
parti, lungo una strada centrale di una pulizia stupefacente; nelle
facciate, lisce e a più colori, qua e là s'apriva una porta, ma
non una sola finestra.
Erano variegate con straordinaria irregolarità, intonacate con una
materia qua grigia, lì giallastra, altrove color dell'ardesia oppure
marrone scuro. Proprio la vista di quell'intonaco pazzesco fece
venire in mente per la prima volta, all'esploratore, la parola "cieco".
Pensò: "Il brav'uomo che ha fatto una cosa simile doveva essere
cieco come una talpa".
Si calò da un punto scosceso, e giunse così al muro e al canale
che circondavano la valle; vi giunse là dove il secondo riversava
il sovrappiù nelle profondità della gola, formando una cascata con
un filo d'acqua, sottile e ondeggiante. Egli ora vedeva lontano,
nei prati, alcuni uomini e donne che si riposavano su mucchi di
fieno, come se facessero la siesta; nei pressi del paese, alcuni
bambini sdraiati; e infine, più vicini a lui, tre uomini che, con
gioghi d'acquaiolo, portavano secchi percorrendo un sentiero che
andava dal muro di cinta verso le case.
Questi ultimi indossavano abiti di stoffa fatta con il pelo di lama,
scarpe e cinture di cuoio, berretti di stoffa con lembi che coprivano
le orecchie e la nuca. Procedevano l'uno dietro l'altro, in fila
indiana, camminando adagio e sbadigliando nel camminare, come chi
abbia passato la notte in piedi.
Il loro comportamento aveva un'aria rassicurante di prosperità,
di rispettabilità e perciò Nunez, dopo un attimo di esitazione,
si fece avanti, mettendosi in vista come meglio poteva sulla sua
roccia, ed emise un potente grido di richiamo che echeggiò per tutta
la valle. I tre uomini si fermarono, e mossero il capo, come guardandosi
attorno. Girarono il viso di qua e di là, e Nunez gesticolò a tutto
andare. Ma, con tutto il suo agitar di braccia, non parvero vederlo,
e dopo un poco, rivolti verso le montagne sulla destra, gridarono
come per rispondere.
Nunez cacciò fuori un altro urlaccio, e allora, nuovamente, nel
fare i suoi inutili gesti, la parola "cieco" s'impose alla sua mente.
"Quegli sciocchi devono essere ciechi", si disse. Alla fine Nunez,
essendosi sgolato e arrabbiato più che a sufficienza, attraversò
l'acqua su un ponticello, passò da una porta nel muro, si avvicinò
a quegli uomini. Ebbe allora la certezza ch'erano ciechi. Fu certo
che quello era il paese dei ciechi di cui parlavano le leggende.
Questa convinzione lo riempì di un senso di grande, di invidiabile
avventura. I tre si tenevano vicini l'uno all'altro, e rivolgevano
verso di lui non gli occhi, ma l'orecchio, giudicandolo attraverso
il rumore non familiare dei suoi passi. Stavano stretti, come un
poco impauriti, ed egli vide che avevano le palpebre chiuse e affossate,
come se le pupille si fossero rattrappite fino a scomparire.
Avevano in viso un'espressione quasi di sbigottimento. "Un uomo",
diceva l'uno, parlando uno spagnolo quasi irriconoscibile; "E' un
uomo, un uomo o uno spirito, quello che scende dalle rocce". Ma
Nunez avanzava col passo fiducioso del giovane che va incontro alla
vita. Si era rammentato di tutte quelle antiche storie sulla valle
perduta e sul paese dei ciechi, e come un ritornello gli girava
e rigirava per la mente un vecchio proverbio: "Tra i ciechi l'orbo
d'un occhio è re, tra i ciechi l'orbo d'un occhio è re".
Li salutò con molta cortesia. E usava gli occhi, mentre parlava.
Uno chiese: "Fratello Pedro, di dove arriva?", "E' uscito e sceso
dalle rocce". "Vengo da oltre i monti", disse Nunez, "Sono uscito
dal paese che sta di là, un paese dove gli uomini vedono. Dai pressi
di Bogota, dove abitano centinaia di migliaia di persone e la città
si estende fuor di vista. "Vista?", mormorò Pedro, "Vista?", "E'
uscito dalle rocce", disse il secondo cieco. Nunez vide che la stoffa
dei loro cappotti era cucita in modo curioso, con punti di un tipo
diverso dall'uno all'altro.
Lo fecero sobbalzare compiendo simultaneamente un movimento verso
di lui, a mano protesa. Egli arretrò, dinanzi all'avanzata di quelle
dita aperte. "Vieni qua", disse il terzo cieco, accompagnando il
suo movimento e agguantandolo bellamente.
Tennero Nunez e lo tastarono, senza dir altro.
"Piano!", esclamò egli, avendo un dito in un occhio. E capì che
costoro ritenevano in lui una stranezza, quell'organo dalle palpebre
che sbattevano. Insistettero ancora a tastarlo.
"Una strana creatura, Correa", disse colui che chiamavano Pedro,
"senti un po' che pelo ruvido ha. Come quello del lama".
"E' rude come le rocce che l'hanno partorito", disse Correa, esplorando
il mento non rasato di Nunez, con mano morbida e leggermente umida.
"Forse si raffinerà".
Nunez, sotto quel contatto indagatore, si dibatteva un poco, ma
essi lo tenevano saldamente.
"Piano!", ripetè.
"Parla", disse il terzo,
"è certamente un uomo".
"Uh!", fece Pedro, sentendo com'era grossolano il suo cappotto.
"E così, sei venuto al mondo?", chiese Pedro.
"Dal mondo! Di là da montagne e ghiacciai; proprio da là, oltre
quel punto, a metà strada dal sole. Vengo dal mondo grande e vasto,
che scende giù, per dodici giorni di cammino, fino al mare".
Non sembravano quasi dargli retta.
"I nostri antenati dicevano che gli uomini possono essere creati
dalle forze della natura", disse Correa, "Dal calore delle cose,
e dall'umidità, e dall'imputridimento... dall'imputridimento." "Portiamolo
dagli anziani", disse Pedro. "Ma prima manda un grido", disse Correa,
"che i bambini non abbiano a spaventarsi. Questo è un caso portentoso".
Infatti gridarono, e Pedro si avviò per primo, prendendo Nunez per
mano con l'intenzione di guidarlo verso le case.
Egli tirò via la mano: "Io ci vedo", disse. "Vedi?", disse Correa.
"Vedo, sì", disse Nunez voltandosi verso di lui e inciampando, così,
nel secchio di Pedro. "Ha i sensi ancora imperfetti", disse il terzo
cieco, "inciampa, dice parola senza significato. Conducilo per mano".
"Come volete", disse Nunez, e si lasciò condurre, ridendo. La vista,
quelli, parevano non sapere neanche cosa fosse. Ebbene, glielo avrebbe
insegnato lui, a tempo e luogo. Udì gente gridare, e vide che parecchie
figure si stavano assembrando sulla via che passava in mezzo al
villaggio.
Egli si rese conto che gli ci voleva più coraggio e pazienza del
previsto, per quella prima presa di contatto con la popolazione
del paese dei ciechi. Da vicino, il villaggio pareva più vasto,
e quegli intonaci parevano più bizzarri; inoltre una folla di bambini,
di donne (notò con piacere che donne e ragazze, o almeno alcune
tra loro, avevano volti assai avvenenti, a dispetto degli occhi
chiusi e affossati), li circondò, attaccandosi a lui, toccandolo
con mani morbide e sensibili, fiutandolo, ascoltando ogni parola
che pronunciava. C'erano tuttavia fanciulle e bambini che si tenevano
alla larga, come impauriti, e infatti la sua voce suonava aspra
e volgare a paragone delle loro intonazioni più sommesse.
Fu presto d'assalto. Le sue tre guide gli si tenevano appiccicate
addosso, con una certa aria di proprietà, continuando a ripetere:
"Un selvaggio uscito dalle rocce". "Da Bogota", diceva lui, "Bogota,
di là dalla cima dei monti". "Un selvaggio, che adopera parole selvagge",
disse Pedro, "l'avete sentito? Bogota. Non ha ancora l'intelletto
sviluppato. Possiede solo rudimenti del linguaggio". Un bambinetto
gli diede un pizzicotto sulla mano. "Bogota!", fece, dandogli la
baia. "Proprio così! Una città, mentre il vostro è un villaggio.
Vengo dal grande mondo. Dove gli uomini hanno occhi per vedere".
"Si chiama Bogota", dicevano quelli. "Ha inciampato", disse Correa,
"ha inciampato due volte, nel venire qua". "Portatelo dagli anziani".
E ad un tratto, con uno spintone, gli fecero infilare una porta.
Nella stanza c'era buio pesto, tranne in fondo, un tenue bagliore
di fuoco acceso; la folla accalcandosi alle sue spalle lasciava
filtrare da fuori appena un barlume del giorno. Sullo slancio, prima
di riuscire a fermarsi, egli cadde lungo disteso oltre i piedi di
un uomo seduto; nel cadere allungando di scatto un braccio, ne colpì
in viso un altro, sentì il contatto di molli lineamenti, udì un
grido di collera, e per un momento si dibattè nella morsa di parecchie
mani.
Lotta impari. Ma, in un lampo d'intuizione, si rese conto di come
stavano le cose e rimase immobile. "Sono caduto", spiegò, "In questo
buio pesto non vedevo niente". Cadde un silenzio, come se le persone
che lo attorniavano cercassero di capire le sue parole. Poi la voce
di Correa disse: "E' formato da poco. Quando cammina inciampa. Quando
parla, mescola parole che non vogliono dire nulla". Anche altri
espressero sul suo conto i loro pareri, ch'egli udì o capì imperfettamente.
"Posso mettermi a sedere?", chiese in un intervallo di silenzio,
"Non mi agiterò più contro di voi". Dopo essersi consultati, gli
permisero di alzarsi.
La voce di un vecchio cominciò a interrogarlo, e Nunez fu costretto
a cercar di spiegare il vasto mondo dal quale era piombato giù,
il cielo, i monti, la vista e simili prodigi, a quegli anziani che
sedevano immersi nelle tenebre, nel paese dei ciechi. Ma non capivano,
non credevano a quello che diceva; e questo non se l'era davvero
aspettato. Non riuscivano a capire molte sue parole.
Erano ciechi da quattordici generazioni, completamente segregati
dal mondo dotato di vista, e il nome di ogni cosa attinente al senso
ottico si era cancellato o trasformato, la storia del mondo esterno
si era cancellata, trasformata in una fiaba, ed essi avevano perso
ogni interesse per tutto ciò che stava al di là dei pendii rocciosi,
incombenti sul loro muro di cinta.
Erano sorti, tra loro, ciechi geniali, che avevano messo in discussione
gli ultimi brandelli delle credenze e delle tradizioni di un tempo
in cui possedevano ancora la vista, negandole come vane bubbole
e sostituendole con altre e più assennate spiegazioni.
Buona parte della loro immaginazione si era disseccata come i loro
occhi, ed essi si erano procurati altre immaginazioni in base alla
sensibilità sempre maggiore delle loro orecchie e dei loro polpastrelli.
Pian piano, Nunez finì con il rendersene conto.
Capì che, contrariamente alle sue speranze non avrebbe ottenuto
stupore e reverenza per la sua origine e le sue facoltà; e dopo
che costoro ebbero mostrato di non tenere in nessuna considerazione
i suoi miseri sforzi di spiegar loro la vista, considerandoli balbettamenti
di un essere appena formato che descrive come portenti le sue sensazioni
slegate, egli si rassegnò, un poco mortificato, ad ascoltare le
loro istituzioni.
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