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HOME PAGE > LIBRI-FILM-MUSICA > DA LEGGERE ONLINE > IL PAESE DEI CIECHI 05
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Storie di fantasia
e di fantascienza

di Herbert G. Wells

Una mattina, vedendo Pedro sul sentiero chiamato diciassette, che si dirigeva alle case del centro, ma ancora troppo lontano per l'odorato o l'udito, li informò di questa circostanza. "Tra poco", predisse, "Pedro sarà qui".

Un vecchio commentò che Pedro non aveva motivo di trovarsi sul sentiero diciassette, e infatti, come a confermarlo, costui svoltò in una traversa, il sentiero dieci, avviandosi a passi felpati verso il muro esterno. Poichè Pedro non arrivava, presero in giro Nunez e in seguito, quando egli, per giustificarsi, interrogò direttamente Pedro, questi negò, tenendogli testa arditamente, e da allora gli si dimostrò ostile. Poi egli li persuase a farlo andare molto in alto, sui pendii erbosi, verso il muro, in compagnia di un individuo compiacente, promettendo di descrivere a quest'ultimo tutto ciò che accadeva tra le case.

Osservò l'andare e venire di alcuni; ma le cose che realmente parevano avere importanza per quella gente, le uniche di cui avessero tenuto nota per metterlo alla prova, accadevano all'interno o dietro le case senza finestre, ed egli non poteva saperne nè dirne nulla. Appunto dopo l'insuccesso del suo tentativo, e l'ilarità ch'essi non seppero nascondere, egli fece ricorso alla forza.

Pensò bene di dar di piglio ad una vanga e abbattere all'improvviso due di loro, dimostrando così, in campo aperto, il vantaggio di avere occhi. Attuò tale decisione, giungendo fino ad impugnare la vanga; ma allora dovette accorgersi di una novità, a proprio proposito, cioè che non era assolutamente in grado di colpire un cieco a sangue freddo. Esitò, e poi constatò che tutti sapevano che aveva impugnato una vanga. Stavano all'erta, con la testa piegata di fianco, tendendo l'orecchio nella sua direzione, aspettando la sua mossa successiva. "Metti giù quella vanga", disse uno, ed egli provò una specie di orrore senza scampo.

Fu quasi sul punto di obbedire. Poi ne respinse violentemente uno contro il muro di una casa, e oltrepassandolo fuggì fuori del villaggio. Passò attraverso uno dei loro campi, lasciandosi dietro ai piedi una pista d'erba calpestata, e si mise seduto di lato ad uno dei camminamenti. Provava un po' quella baldanza che s'impadronisce di ogni uomo all'inizio di una lotta; ma l'incertezza era maggiore.

Cominciava a rendersi conto ch'è impossibile persino combattere con piacere creature che si appoggiano a basi morali diverse. Vide in lontananza parecchi uomini, armati di vanghe e bastoni, che uscivano dalla strada dell'abitato, e avanzavano verso di lui, su una linea, che si allargava lungo i vari sentieri. Avanzavano lentamente, interpellandosi spesso l'uno con l'altro, ed ogni poco l'intero cordone d'uomini sostava, fiutando l'aria, ascoltando. La prima volta che fecero questo, Nunez rise. Ma poi non rise più. Uno s'imbattè nella traccia ch'egli aveva lasciato nell'erba, e si avvicinò, chino, tastando con la mano per riconoscere quella pista.

Egli rimase per cinque minuti ad osservare il lento estendersi del cordone; poi, la voglia di fare senza indugio qualcosa, da vaga divenne frenetica. Si alzò in piedi, fece un paio di passi verso il muro di cinta girò su se stesso e tornò un poco indietro.

Stavano tutti là, a semicerchio, fermi e con l'orecchio teso. Anch'egli stava fermo, impugnando ben salda la sua vanga, a due mani. Partire alla carica contro di loro? Si sentiva pulsare il sangue nelle orecchie, al ritmo di "Tra i ciechi l'orbo d'un occhio è re!". Partire alla carica? "Bogota!", gridò uno, "Bogota! Dove sei?". Strinse con forza ancora maggiore la vanga, e avanzò giù per i prati, in direzione dell'abitato, e non appena si mosse quelli conversero su di lui. "Se mi toccano, li colpisco!", imprecò. "Perdio, lo farò! Colpirò": Gridò forte, "State a sentire. In questa valle, farò quel che mi pare. Avete udito? Farò quel che mi pare e andrò dove mi pare!". Voltò un attimo la testa a guardare, alle sue spalle, l'alto muro invalicabile: un muro sul quale, dato l'intonaco levigato, era impossibile arrampicarsi, ma nel quale erano praticate numerose porticine. Guardò poi la linea, sempre più vicina, di quelli che lo cercavano. Dietro a questi, ora, altri ne venivano, dalla strada tra le case. Partire alla carica? Si stavano avvicinando velocemente, a tentoni, eppure con moto rapido.

Era come giocare a mosca cieca, però con tutti i giocatori bendati ed uno solo no. "Acchiappatelo!", gridò uno di loro. Si trovò ad essere dentro l'arco di una curva scaglionata di inseguitori. Ritenne ad un tratto di dover agire e mostrarsi deciso. "Voi non capite", gridò con voce che, nella sua intenzione, doveva sonare forte e risoluta, e che invece gli tremò, "Siete ciechi, io ci vedo. Lasciatemi in pace!". "Metti giù quella vanga, Bogota! E vieni via dall'erba".

Quest'ultimo ordine, che in modo grottesco echeggiava ben noti divieti civici, provocò uno scoppio di collera. "Vi farò male", disse egli, quasi singhiozzando per l'emozione, "Perdio! Vi farò male. Lasciatemi in pace". Spiccò la corsa senza ben sapere dove corresse. Scappò via dal cieco più vicino, perchè inorridiva all'idea di colpirlo. Si fermò, poi si slanciò per sottrarsi allo stringersi dei ranghi. Puntò su un largo interstizio; ma, con pronta percezione dei suoi passi che si avvicinavano, l'uomo dell'una e quello dell'altra parte corsero l'uno verso l'altro. Egli balzò avanti, vide che stavano per prenderlo, e vlan! Aveva calato la vanga e menato il colpo. Avvertì il sordo rumore prodotto dalla mano e dal braccio, e l'uomo che cadeva con un urlo di dolore.

Egli era passato. Passato! Si ritrovava nei pressi della strada fra le case, e c'erano ciechi che, con una specie di precipitazione ragionata, correvano qua e là roteando vanghe e bastoni. Udì appena in tempo un rumore di passi alle sue spalle, accorgendosi così di un uomo alto che scattava avanti menando un colpo sulla sua presenza sonora. Perdette la testa, scagliò la sua vanga contro l'antagonista, mancandolo di un metro, girò su se stesso e fuggì, gettando proprio un urlo nello scansarne un altro. Lo aveva colto il panico.

Corse alla disperata avanti e indietro, scartando quando non ve n'era motivo e (tanto era ansioso di guardare contemporaneamente da tutte le parti) incespicando. Cadde un attimo a terra e quelli lo udirono. Molto lontano, nel muro di cinta, una porticina parve paradisiaca, ed egli vi si diresse con folle impeto. Non si curò nemmeno di guardare intorno a sè, gli inseguitori, finchè‚ non l'ebbe raggiunta, finchè‚ non ebbe superato barcollando un ponticello, con grande sorpresa ed angoscia di un giovane lama che sparì a balzi precipitosi. Infine, si gettò a terra, respirando con affanno.

Questa fu la conclusione del suo coup d' ètat. Rimase all'esterno del muro della vallata dei ciechi per due notti e due giorni, senza cibo nè riparo, riflettendo su quegli sviluppi inaspettati. Nel corso di tali meditazioni, gli accadde spesso di ripetere, su un tono di derisione sempre più profonda,l'adagio ormai screditato "Tra i ciechi l'orbo d'un occhio è re". Pensava soprattutto ai possibili modi di combattere e sconfiggere quella gente, e gli divenne chiaro che non ne aveva modo.

Era senza armi, ed ora sarebbe stato difficile procurasene una. Anche se era un uomo di Bogota, l'influenza corruttrice della civiltà lo aveva raggiunto, e non se la sentiva di scendere ad ammazzare un cieco… Certo, se lo avesse fatto, avrebbe potuto dettare condizioni, con la minaccia di ammazzarli tutti. Ma, presto o tardi, doveva pure dormire! Cercò anche di procurarsi tra i pini qualcosa da mangiare, proteggersi con rami di pino dalla brina notturna, ed anche (senza pensarci troppo) d'ingegnarsi a catturare un lama, per ucciderlo, forse martellandolo con un sasso, e finalmente mangiarne un pezzo. Ma i lama lo tenevano in sospetto. Lo guardavano con occhi bruni e diffidenti, e schizzavano saliva quando si avvicinava. Finì per trascinarsi giù, fino al muro del paese dei ciechi, per cercare di intavolare trattative.

Strisciò lungo il corso d'acqua, lanciando grida, e finalmente due ciechi vennero alla porta a parlargli. "Ero impazzito", disse, "Ma ero venuto al mondo solo da poco". Quelli dissero che così andava già meglio. Li informò che adesso aveva maggior senno, e si pentiva di tutto ciò che aveva fatto. A questo punto, senza volerlo, si mise a piangere, perchè‚ ormai debole e malandato; ma a quelli parve un buon segno. Gli chiesero se ancora credeva di vedere. "No", rispose lui, "Era pura pazzia. E' una parola che non vuole dire niente: men che niente".

Gli chiesero che cosa c'era in alto, sulle teste. "A dieci volte l'altezza di un uomo, c'è un tetto sul mondo; fatto di roccia; e molto, molto liscio…" scoppiò nuovamente in un pianto isterico, "Prima di farmi altre domande, datemi qualcosa da mangiare, o morirò. Si aspettava duri castighi, ma quei ciechi conoscevano la tolleranza. Considerarono la sua ribellione semplicemente come un ulteriore prova della sua generica idiozia ed inferiorità; e dopo averlo frustato lo adibirono ai lavori più semplici e pesanti che ci fossero da fare. Non vedendo altro modo per vivere, egli si sottomise a fare ciò che gli dicevano. Fu ammalato per alcuni giorni, e quelli lo curarono con bontà. Ciò contribuì a perfezionare la sua sottomissione. Ma vollero assolutamente che stesse steso al buio, cosa estremamente spiacevole. Ciechi filosofi vennero a parlargli della perversa leggerezza del suo intelletto, e stigmatizzarono con tanta efficacia i suoi dubbi circa l'esistenza del coperchio di roccia che copriva la loro casseruola cosmica, da indurlo quasi a dubitare d'esser vittima di un'allucinazione nel fatto di non vederselo sul capo. In tal modo Nunez divenne cittadino del paese dei ciechi.

Cessò di vedere quella gente nel suo insieme, come popolazione, e i singoli individui gli divennero familiari, mentre il mondo che stava di là dai monti gli appariva sempre più lontano ed irreale. C'era il suo padrone, Yacob, un uomo cordiale, quando non era arrabbiato. C'era Pedro, nipote di Yacob. E c'era Medina-sarotè, la più giovane figlia di Yacob. Non era molto apprezzata nel mondo dei ciechi, perchè‚ aveva un volto dai lineamenti netti, privo della debita, untuosa uniformità, che è l'ideale di bellezza femminile per l'uomo cieco; ma Nunez la trovò bella in un primo momento, e poi la cosa più bella di tutto il creato.

I suoi occhi chiusi meno fondi e infiammati di quanto non lo fossero di solito nella valle, parevano potersi riaprire da un momento all'altro, ed avevano lunghe ciglia, che là venivano considerate deturpanti. Anche la voce, forte, non corrispondeva ai requisiti dell'acuto udito dei valligiani. Ella perciò non aveva nessun innamorato. Venne un momento in cui Nunez pensò che, se poteva averla per sè, si sarebbe rassegnato a vivere nella valle per il resto dei suoi giorni.

La osservava, coglieva ogni occasione per renderle piccoli servigi, e non tardò ad accorgersi che anche lei lo notava. Una volta, a una riunione di un giorno di vacanza, si trovarono seduti fianco a fianco nel debole lume delle stelle, e c'era una dolce musica. Gli capitò di mettere la mano sulla sua, e osò stringerla. Ella, timidamente, restituì la stretta.

E un giorno, mentre pranzavano come sempre al buio, sentì che la mano di lei lo cercava dolcemente; per caso in quel momento il fuoco arse più forte, ed egli le scorse in viso l'espressione della tenerezza.

Cercò l'occasione per parlarle.

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