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Una
mattina, vedendo Pedro sul sentiero chiamato diciassette, che si
dirigeva alle case del centro, ma ancora troppo lontano per l'odorato
o l'udito, li informò di questa circostanza. "Tra poco", predisse,
"Pedro sarà qui".
Un vecchio commentò che Pedro non aveva motivo di trovarsi sul sentiero
diciassette, e infatti, come a confermarlo, costui svoltò in una
traversa, il sentiero dieci, avviandosi a passi felpati verso il
muro esterno. Poichè Pedro non arrivava, presero in giro Nunez e
in seguito, quando egli, per giustificarsi, interrogò direttamente
Pedro, questi negò, tenendogli testa arditamente, e da allora gli
si dimostrò ostile. Poi egli li persuase a farlo andare molto in
alto, sui pendii erbosi, verso il muro, in compagnia di un individuo
compiacente, promettendo di descrivere a quest'ultimo tutto ciò
che accadeva tra le case.
Osservò l'andare e venire di alcuni; ma le cose che realmente parevano
avere importanza per quella gente, le uniche di cui avessero tenuto
nota per metterlo alla prova, accadevano all'interno o dietro le
case senza finestre, ed egli non poteva saperne nè dirne nulla.
Appunto dopo l'insuccesso del suo tentativo, e l'ilarità ch'essi
non seppero nascondere, egli fece ricorso alla forza.
Pensò bene di dar di piglio ad una vanga e abbattere all'improvviso
due di loro, dimostrando così, in campo aperto, il vantaggio di
avere occhi. Attuò tale decisione, giungendo fino ad impugnare la
vanga; ma allora dovette accorgersi di una novità, a proprio proposito,
cioè che non era assolutamente in grado di colpire un cieco a sangue
freddo. Esitò, e poi constatò che tutti sapevano che aveva impugnato
una vanga. Stavano all'erta, con la testa piegata di fianco, tendendo
l'orecchio nella sua direzione, aspettando la sua mossa successiva.
"Metti giù quella vanga", disse uno, ed egli provò una specie di
orrore senza scampo.
Fu quasi sul punto di obbedire. Poi ne respinse violentemente uno
contro il muro di una casa, e oltrepassandolo fuggì fuori del villaggio.
Passò attraverso uno dei loro campi, lasciandosi dietro ai piedi
una pista d'erba calpestata, e si mise seduto di lato ad uno dei
camminamenti. Provava un po' quella baldanza che s'impadronisce
di ogni uomo all'inizio di una lotta; ma l'incertezza era maggiore.
Cominciava a rendersi conto ch'è impossibile persino combattere
con piacere creature che si appoggiano a basi morali diverse. Vide
in lontananza parecchi uomini, armati di vanghe e bastoni, che uscivano
dalla strada dell'abitato, e avanzavano verso di lui, su una linea,
che si allargava lungo i vari sentieri. Avanzavano lentamente, interpellandosi
spesso l'uno con l'altro, ed ogni poco l'intero cordone d'uomini
sostava, fiutando l'aria, ascoltando. La prima volta che fecero
questo, Nunez rise. Ma poi non rise più. Uno s'imbattè nella traccia
ch'egli aveva lasciato nell'erba, e si avvicinò, chino, tastando
con la mano per riconoscere quella pista.
Egli rimase per cinque minuti ad osservare il lento estendersi del
cordone; poi, la voglia di fare senza indugio qualcosa, da vaga
divenne frenetica. Si alzò in piedi, fece un paio di passi verso
il muro di cinta girò su se stesso e tornò un poco indietro.
Stavano tutti là, a semicerchio, fermi e con l'orecchio teso. Anch'egli
stava fermo, impugnando ben salda la sua vanga, a due mani. Partire
alla carica contro di loro? Si sentiva pulsare il sangue nelle orecchie,
al ritmo di "Tra i ciechi l'orbo d'un occhio è re!". Partire alla
carica? "Bogota!", gridò uno, "Bogota! Dove sei?". Strinse con forza
ancora maggiore la vanga, e avanzò giù per i prati, in direzione
dell'abitato, e non appena si mosse quelli conversero su di lui.
"Se mi toccano, li colpisco!", imprecò. "Perdio, lo farò! Colpirò":
Gridò forte, "State a sentire. In questa valle, farò quel che mi
pare. Avete udito? Farò quel che mi pare e andrò dove mi pare!".
Voltò un attimo la testa a guardare, alle sue spalle, l'alto muro
invalicabile: un muro sul quale, dato l'intonaco levigato, era impossibile
arrampicarsi, ma nel quale erano praticate numerose porticine. Guardò
poi la linea, sempre più vicina, di quelli che lo cercavano. Dietro
a questi, ora, altri ne venivano, dalla strada tra le case. Partire
alla carica? Si stavano avvicinando velocemente, a tentoni, eppure
con moto rapido.
Era come giocare a mosca cieca, però con tutti i giocatori bendati
ed uno solo no. "Acchiappatelo!", gridò uno di loro. Si trovò ad
essere dentro l'arco di una curva scaglionata di inseguitori. Ritenne
ad un tratto di dover agire e mostrarsi deciso. "Voi non capite",
gridò con voce che, nella sua intenzione, doveva sonare forte e
risoluta, e che invece gli tremò, "Siete ciechi, io ci vedo. Lasciatemi
in pace!". "Metti giù quella vanga, Bogota! E vieni via dall'erba".
Quest'ultimo ordine, che in modo grottesco echeggiava ben noti divieti
civici, provocò uno scoppio di collera. "Vi farò male", disse egli,
quasi singhiozzando per l'emozione, "Perdio! Vi farò male. Lasciatemi
in pace". Spiccò la corsa senza ben sapere dove corresse. Scappò
via dal cieco più vicino, perchè inorridiva all'idea di colpirlo.
Si fermò, poi si slanciò per sottrarsi allo stringersi dei ranghi.
Puntò su un largo interstizio; ma, con pronta percezione dei suoi
passi che si avvicinavano, l'uomo dell'una e quello dell'altra parte
corsero l'uno verso l'altro. Egli balzò avanti, vide che stavano
per prenderlo, e vlan! Aveva calato la vanga e menato il colpo.
Avvertì il sordo rumore prodotto dalla mano e dal braccio, e l'uomo
che cadeva con un urlo di dolore.
Egli era passato. Passato! Si ritrovava nei pressi della strada
fra le case, e c'erano ciechi che, con una specie di precipitazione
ragionata, correvano qua e là roteando vanghe e bastoni. Udì appena
in tempo un rumore di passi alle sue spalle, accorgendosi così di
un uomo alto che scattava avanti menando un colpo sulla sua presenza
sonora. Perdette la testa, scagliò la sua vanga contro l'antagonista,
mancandolo di un metro, girò su se stesso e fuggì, gettando proprio
un urlo nello scansarne un altro. Lo aveva colto il panico.
Corse alla disperata avanti e indietro, scartando quando non ve
n'era motivo e (tanto era ansioso di guardare contemporaneamente
da tutte le parti) incespicando. Cadde un attimo a terra e quelli
lo udirono. Molto lontano, nel muro di cinta, una porticina parve
paradisiaca, ed egli vi si diresse con folle impeto. Non si curò
nemmeno di guardare intorno a sè, gli inseguitori, finchè‚ non l'ebbe
raggiunta, finchè‚ non ebbe superato barcollando un ponticello,
con grande sorpresa ed angoscia di un giovane lama che sparì a balzi
precipitosi. Infine, si gettò a terra, respirando con affanno.
Questa fu la conclusione del suo coup d' ètat. Rimase all'esterno
del muro della vallata dei ciechi per due notti e due giorni, senza
cibo nè riparo, riflettendo su quegli sviluppi inaspettati. Nel
corso di tali meditazioni, gli accadde spesso di ripetere, su un
tono di derisione sempre più profonda,l'adagio ormai screditato
"Tra i ciechi l'orbo d'un occhio è re". Pensava soprattutto ai possibili
modi di combattere e sconfiggere quella gente, e gli divenne chiaro
che non ne aveva modo.
Era senza armi, ed ora sarebbe stato difficile procurasene una.
Anche se era un uomo di Bogota, l'influenza corruttrice della civiltà
lo aveva raggiunto, e non se la sentiva di scendere ad ammazzare
un cieco… Certo, se lo avesse fatto, avrebbe potuto dettare condizioni,
con la minaccia di ammazzarli tutti. Ma, presto o tardi, doveva
pure dormire! Cercò anche di procurarsi tra i pini qualcosa da mangiare,
proteggersi con rami di pino dalla brina notturna, ed anche (senza
pensarci troppo) d'ingegnarsi a catturare un lama, per ucciderlo,
forse martellandolo con un sasso, e finalmente mangiarne un pezzo.
Ma i lama lo tenevano in sospetto. Lo guardavano con occhi bruni
e diffidenti, e schizzavano saliva quando si avvicinava. Finì per
trascinarsi giù, fino al muro del paese dei ciechi, per cercare
di intavolare trattative.
Strisciò lungo il corso d'acqua, lanciando grida, e finalmente due
ciechi vennero alla porta a parlargli. "Ero impazzito", disse, "Ma
ero venuto al mondo solo da poco". Quelli dissero che così andava
già meglio. Li informò che adesso aveva maggior senno, e si pentiva
di tutto ciò che aveva fatto. A questo punto, senza volerlo, si
mise a piangere, perchè‚ ormai debole e malandato; ma a quelli parve
un buon segno. Gli chiesero se ancora credeva di vedere. "No", rispose
lui, "Era pura pazzia. E' una parola che non vuole dire niente:
men che niente".
Gli chiesero che cosa c'era in alto, sulle teste. "A dieci volte
l'altezza di un uomo, c'è un tetto sul mondo; fatto di roccia; e
molto, molto liscio…" scoppiò nuovamente in un pianto isterico,
"Prima di farmi altre domande, datemi qualcosa da mangiare, o morirò.
Si aspettava duri castighi, ma quei ciechi conoscevano la tolleranza.
Considerarono la sua ribellione semplicemente come un ulteriore
prova della sua generica idiozia ed inferiorità; e dopo averlo frustato
lo adibirono ai lavori più semplici e pesanti che ci fossero da
fare. Non vedendo altro modo per vivere, egli si sottomise a fare
ciò che gli dicevano. Fu ammalato per alcuni giorni, e quelli lo
curarono con bontà. Ciò contribuì a perfezionare la sua sottomissione.
Ma vollero assolutamente che stesse steso al buio, cosa estremamente
spiacevole. Ciechi filosofi vennero a parlargli della perversa leggerezza
del suo intelletto, e stigmatizzarono con tanta efficacia i suoi
dubbi circa l'esistenza del coperchio di roccia che copriva la loro
casseruola cosmica, da indurlo quasi a dubitare d'esser vittima
di un'allucinazione nel fatto di non vederselo sul capo. In tal
modo Nunez divenne cittadino del paese dei ciechi.
Cessò di vedere quella gente nel suo insieme, come popolazione,
e i singoli individui gli divennero familiari, mentre il mondo che
stava di là dai monti gli appariva sempre più lontano ed irreale.
C'era il suo padrone, Yacob, un uomo cordiale, quando non era arrabbiato.
C'era Pedro, nipote di Yacob. E c'era Medina-sarotè, la più giovane
figlia di Yacob. Non era molto apprezzata nel mondo dei ciechi,
perchè‚ aveva un volto dai lineamenti netti, privo della debita,
untuosa uniformità, che è l'ideale di bellezza femminile per l'uomo
cieco; ma Nunez la trovò bella in un primo momento, e poi la cosa
più bella di tutto il creato.
I suoi occhi chiusi meno fondi e infiammati di quanto non lo fossero
di solito nella valle, parevano potersi riaprire da un momento all'altro,
ed avevano lunghe ciglia, che là venivano considerate deturpanti.
Anche la voce, forte, non corrispondeva ai requisiti dell'acuto
udito dei valligiani. Ella perciò non aveva nessun innamorato. Venne
un momento in cui Nunez pensò che, se poteva averla per sè, si sarebbe
rassegnato a vivere nella valle per il resto dei suoi giorni.
La osservava, coglieva ogni occasione per renderle piccoli servigi,
e non tardò ad accorgersi che anche lei lo notava. Una volta, a
una riunione di un giorno di vacanza, si trovarono seduti fianco
a fianco nel debole lume delle stelle, e c'era una dolce musica.
Gli capitò di mettere la mano sulla sua, e osò stringerla. Ella,
timidamente, restituì la stretta.
E un giorno, mentre pranzavano come sempre al buio, sentì che la
mano di lei lo cercava dolcemente; per caso in quel momento il fuoco
arse più forte, ed egli le scorse in viso l'espressione della tenerezza.
Cercò l'occasione per parlarle.
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