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Il
paese dei ciechi
di
Herbert George Wells
Nella
parte più deserta e selvaggia delle Ande ecuadoriane, ad oltre quattrocentocinquanta
chilometri da Chimborazo, a centocinquanta dalle nevi del Cotopaxi,
sta quella misteriosa valle montana che è il paese dei ciechi, completamente
segregata dal mondo abitato.
Molti
e molti anni fa la vallata era in comunicazione con il resto del
mondo, almeno quel tanto che avrebbe potuto consentire agli uomini
di raggiungerne, per gole spaventose e oltre valichi ghiacciati,
i prati temperati; ed infatti alcuni vi giunsero, una famiglia,
o giù di lì, di meticci peruviani che fuggivano l'oppressione e
l'ingordigia di un malvagio governante spagnolo.
Poi
ci fu la sbalorditiva eruzione del Mindobamba, quando Quito rimase
immersa nelle tenebre per diciassette giorni, e a Yaguachi le acque
bollirono, facendo venire a galla i pesci morti fino a Guayaquil.
Ovunque, sul versante del Pacifico, ci furono frane sui pendii,
repentini disgeli, improvvise inondazioni, ed un intero fianco della
vecchia cima dell'Arauca slittò e venne giù con rumore di tuono,
chiudendo per sempre l'accesso del paese dei ciechi all'intraprendente
piede dell'uomo.
Nel
momento del tremendo cataclisma, uno di quei coloni s'era per caso
trovato di qua dalle gole; per forza di cose, dovette rinunciare
a moglie, figli, amici, beni, lasciati lassù, e ricominciare una
nuova vita nel mondo sottostante. La ricominciò; ma la malattia,
cioè la cecità, lo colse e poi egli morì ai lavori minerari, ove
scontava una pena. Però la storia che aveva raccontato fece nascere
una leggenda che ancor oggi sopravvive lungo la cordigliera delle
Ande.
Egli
spiegava perchè si fosse avventurato a rifar la strada in senso
inverso, allontanandosi da quella rocca fra i monti, nella quale
era giunto la prima volta da bambino, legato sul dorso di un lama
dietro un'immensa balla di masserizie.
C'era
nella valle, egli diceva, tutto ciò che un uomo può desiderare di
meglio: acqua dolce, pascoli, un clima uniforme, pendii di terra
scura e fertile, con macchioni di un arbusto che produceva un ottimo
frutto; su un lato, incombevano grandi foreste di pini che tenevano
lontane le valanghe.
Molto
in su, da tre lati, enormi strapiombi di roccia grigia erano incappucciati
da alti nevai; ma il corso d'acqua che usciva dal ghiacciaio andava
dall'altra parte, e solo di rado cadevano a valle enormi valanghe.
Non pioveva ne nevicava, nella vallata; ma le copiose sorgenti fornivano
ricchi pascoli erbosi, che l'irrigazione poteva estendere a tutta
l'area della valle. Gli immigrati si trovarono assai bene.
Le
loro bestie vi si trovarono bene, e si moltiplicarono. Una sola
cosa offuscava la loro contentezza; ma bastava ad offuscarla gravemente.
Un male strano li aveva assaliti, colpendo di cecità tutti i figli
che avevano avuto lassù, ed anzi colpendo anche alcuni dei maggiori.
Egli
aveva ridisceso le gole, a prezzo di fatica, difficoltà e pericoli,
appunto per cercare un antidoto o un talismano contro quella cecità.
A quei tempi, in casi del genere, gli uomini non pensavano a bacilli
e infezioni, bensì a peccati, e a lui era sembrato che il motivo
di quella piaga dovesse risiedere nella negligenza di quegli immigrati
senza prete, che non avevano costruito una cappelletta appena penetrati
nella valle.
Voleva
che vi si costruisse una cappelletta, piccola, rudimentale, ma in
piena regola; voleva reliquie ed altri strumenti di fede consimili
e potenti, oggetti benedetti, medaglie misteriose, preghiere. Aveva
nel borsellino una sbarra di argento grezzo, sulla quale non volle
dare spiegazioni; insistette a dire che non vi era argento nella
valle, con una insistenza un po' da bugiardo maldestro.
Loro
avevano riunito, diceva, tutto il denaro e tutti i monili, non avendone
proprio bisogno lassù, per comperarsi l'ausilio del cielo contro
il male. Mi par di vederlo, bruciato dal sole, scarno, ansioso,
che stringe febbrilmente tra le mani le testa del cappello, mentre,
del tutto digiuno com'era degli usi del basso mondo, racconta tutto
ciò a un prete attento, dall'occhio penetrante, prima del grande
cataclisma; me lo raffiguro mentre subito se ne torna, con pii ed
infallibili rimedi contro il malanno, e immagino la sua infinita
angoscia nel trovarsi di fronte l'immensità della frana là dove
una volta sboccava la gola d'accesso.
Ma
la storia delle sue ulteriori sventure mi è ignota, salvo per quanto
riguarda la sua brutta morte dopo parecchi anni. Povero sbandato
di quelle lontananze! Il torrente che un tempo aveva formato la
gola sgorga adesso da un antro di roccia, e la leggenda messa in
circolazione dal suo racconto misero e stentato è diventata quella
dell'esistenza di una razza di ciechi, da qualche parte "lassù",
che ancor oggi si ode raccontare. E tra la sparuta popolazione di
quella valle ormai isolata e dimenticata, la malattia seguì il suo
corso.
I vecchi,
diventati mezzi ciechi, andarono a tastoni, i giovani ci videro
appena, e i figli che misero al mondo non ci videro affatto. Ma
la vita era molto facile in quella conca orlata di nevi, ignota
al mondo intero, priva di spine e rovi, senza insetti nocivi n‚
animali all'infuori dei miti lama delle mandrie ch'essi avevano
tirato, spinto, seguito su per il letto angusto dei corsi d'acqua,
in fondo alle gole attraverso le quali erano saliti.
A quelli
che ci vedevano, la vista si era abbassata per gradi, tanto che
quasi non si accorsero della perdita. Avevano guidato i ragazzi
privi della vista, qua, là, ovunque, tanto che questi conobbero
tutta la valle a meraviglia; e quando l'ultimo residuo di vista
si spense, tra loro, la razza sopravvisse.
Avevano
persino fatto in tempo ad adattarsi per adoperare il fuoco alla
cieca, accendendolo cautamente in forni di pietra. All'inizio erano
una stirpe di gente semplice, analfabeta, appena sfiorata dalla
civiltà spagnola, ma nella quale sussisteva ancora un poco la tradizione
artistica e la filosofia perduta dell'antico Perù.
Una
generazione seguì l'altra. Essi dimenticarono parecchie cose, altre
ne escogitarono. La tradizione dell'esistenza d'un più vasto mondo,
dal quale erano venuti, si fece vaga, prese il colore del mito.
Tranne che nella vista, erano, in tutto il resto, forti ed abili,
e non tardò che, al caso delle nascite e dell'ereditarietà, comparve
tra loro un individuo d'intelletto originale, dotato di parola persuasiva,
poi un altro ancora.
Anche
dopo la morte di quei due ne restò il segno, e intanto la piccola
comunità cresceva di numero e d'intelligenza, sistemava i problemi
sociali ed economici man mano che si presentavano.
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